Perché mi piace nuotare

Oggi ho fatto 3 chilometri. Come martedì e come venerdì scorso. Come succede da qualche mese. Lo schema è sempre quello: due vasche a stile libero, due vasche a rana. E così via per un’ora e mezza. Il dorso a volte, quando riesco a trovare un punto su cui focalizzarmi nel cielo nella piscina all’aperto, un appiglio per mantenere la rotta, e il sole non mi acceca. La farfalla, di cui andavo tanto fiera da ragazza, non più: non riesco ad andare oltre alle quattro bracciate.

La piscina è sgombra. Una lunga distesa azzurra di 50 metri.

Nuoto da quando ho 6 anni. Durante una delle prime lezioni ho persino costretto l’istruttore a venire a ripescarmi in un metro e mezzo di profondità mentre mia madre dagli spalti mi guardava (chissà cosa ha pensato in quel momento). Sono stata ondina, cavalluccio marino, pesce volante, pesce spada e squalo. Ho fatto agonismo e gare, ho vinto medaglie, sono diventata istruttrice e poi bagnina. A mollo per ore e ore. Ho avuto paura dell’acqua alta, freddo durante i pomeriggi invernali, voglia di andare a giocare con i compagni in quelli primaverili, ho provato gioia nel tuffarmi dal trampolino, ho sentito il bruciare del cloro negli occhi e il suo odore sulla pelle, sono diventata insofferente all’umidità. Mi sono divertita con i compagni di squadra, appassionata ai miei progressi, mi sono annoiata in quella ripetitività, ho provato rabbia per le tavolette lanciate dall’istruttore che non voleva che mi fermassi, a volte però ho sentito la sfida e la voglia di andare sempre più veloce, altre la paura delle gare. Ma lì, in quella distesa liquida, tagliata dalle corsie sono sempre tornata.

Le piscine olimpioniche facilitano la concentrazione, il relax. Aiutano a svuotare la mente. Uno, due, uno, due. Le braccia entrano nell’acqua, l’ombra del mio corpo si staglia sul fondo, nelle orecchie solo il rumore del respiro e delle bolle. Inspira ed espira. Inspira ed espira. I muscoli che all’inizio fanno fatica, poi il movimento diventa fluido, il battito del cuore si calma, il corpo diventa sempre più leggero, scivola sull’acqua. Uno, due, uno, due.

L’importante non è pensare all’arrivo. Io non ci penso mai, anche se controllo sull’orologio quante vasche ho fatto. Ma so che è fondamentale, perché quell’ora e mezza faccia effetto, concentrarsi sul qui e ora, sul movimento, sulle mani che spingono sott’acqua, sui piedi e le caviglie che si flettono con piccole onde, sulla bocca che si apre per far entrare l’aria e poi la butta fuori, sul naso che non fa passare l’acqua, sulle bolle che aprono la strada, sulla striscia nera di piastrelle sul fondo che ti guida.

Cosa sto cercando? Un modo per stare bene, per muovere il corpo senza troppi sacrifici, per attivare i muscoli, per sgombrare la mente dai pensieri che la assillano, per seguire una idea, una frase, un capoverso che in quel bozzolo di benessere liquido prende forma e mi accompagna fino a casa. Buffo quante ispirazioni possono venire in una vasca di 50 metri, isolati per un po’ dal mondo, dalle voci esterne, in totale connessione con sé stessi e col proprio respiro.

«Il nuoto rende umani e seguaci di interiorità, dopo che si è imparato a macinare vasche su vasche parlando con se stessi, in una bolla di solitudine e suoni acquatici ovattati, echi di note fluide, morbide, che possiedono il potere di rilassare» scrive Valentina Fortichiari, anche lei nuotatrice, in Il mare non aspetta (Oligo) in cui racconta del rapporto tra un padre e una figlia in Norvegia e di come l’acqua e il nuoto diventino per loro momenti indimenticabili di condivisione. E in quelle frasi mi ci ritrovo. Ritrovo quello sport che è quanto di più vicino alla meditazione. Come lo yoga: ricerca di un momento per sé. Un annullamento, una sospensione.

Forse è proprio nell’essenza degli sport individuali la ricerca della perfezione, la concentrazione assoluta. Anche nella corsa o nella bicicletta, ma lì sei distratto dall’esterno, a volte dagli ostacoli. Anche nel tennis – ricordo le descrizioni delle partite e degli allenamenti nello stupendo Open di Andre Agassi (Einaudi) o nel bellissimo La vita in pugno (Bollati Boringhieri) che parla della boxe femminile e su cui vi prometto ritornerò. Ma qui è diverso: l’acqua ti isola da tutto, tranne da te stesso. E scopri di stare bene con la vista appannata, le orecchie tappate e il corpo leggero. Vasca dopo vasca la mente vaga, forma pensieri e immagini. Succede a me che dopo una nuotata mi venga voglia di scrivere. Come adesso.