Avrò avuto più o meno 20 anni quando ho incontrato Zazie per la prima volta. Forse è stato un professore all’università a nominarla. Più probabilmente il mio fidanzato di allora, che sfogliava le riviste letterarie e mi incantava con le parole, a parlarmene (per la cronaca, poi l’ho sposato). Mi piace immaginarmi così il giorno in cui ho comprato il libro che mi è rimasto nel cuore. Una folgorazione.
La verità è più scontata: ho conosciuto Raymond Queneau leggendo I fiori blu (Einaudi, traduzione di Italo Calvino) perché all’università il professore di Storia del cinema, tra Roland Barthes, Georges Méliès e Alfred Hitchcock ne aveva parlato. Così mi sono ritrovata tra le mani quel libretto con la sovraccoperta blu della collana Scrittori tradotti da scrittori. Ma chi era quel francese un po’ matto che iniziava un romanzo scrivendo «Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d’Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara. Resti del passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e là. Sulle rive del vicino rivo erano accampati un Unno o due; poco distante un Gallo, forse Edueno, immergeva audacemente i piedi nella fresca corrente. Si disegnavano all’orizzonte le sagome sfatte di qualche diritto Romano, gran Saraceno, vecchio Franco, ignoto Vandalo. I normanni bevevan calvados.»?
È stato subito amore. Quello sì me lo aveva regalato il mio fidanzato-compagno-amico-poi-marito. E da allora ho cominciato a leggere quello che ho trovato di Queneau: adoravo il suo modo di giocare con le parole, l’ironia, il suo essere dissacrante, il suo infischiarsene delle regole, l’essere sempre contro corrente, il mistero che racchiude il suo scrivere. Nei Fiori blu Queneau racconta di due personaggi che si sognano reciprocamente, il Duca d’Auge nel Medioevo e Cidrolin un pigro signore che vive su una chiatta nella Senna: è tutto doppio e si gioca sulla simultaneità e sui contrari. Un genio.
Zazie nel metrò arrivò per me subito dopo – anche se Queneau lo scrisse prima de I fiori blu. La copia che ho io è del 1981 con la traduzione di Franco Fortini. È un po’ consumata, un po’ ingiallita, tanto amata. L’originale francese è uscito nel 1959, tanti anni prima. Probabilmente non senza scalpore per i temi affrontati, il linguaggio non certamente corretto (oggi un editor chiederebbe di “smussarlo”) e i personaggi così fuori dagli schemi. Però ha ancora il suo bel passo (e che passo!): è modernissimo, ironico, divertente, uno spasso per la mente e per chi vuole leggere qualcosa che lo stimoli a sperimentare con le parole e gli stili.
La storia è anche questa un po’ pazza: Zazie è una ragazzina che va a stare per un paio di giorni a Parigi dallo zio Gabriel che di professione fa la danzatrice in un night club (sempre lo stesso editor oggi direbbe che è una drag queen). Vuole andare sul metrò, ma quel metrò non lo vedrà mai per via di uno sciopero. Vedrà però la grande città, conoscerà strampalati individui, filerà via davanti ai pericoli, affronterà a testa alta gli adulti, mai spaventata, sempre sfrontata, scorretta (dice tantissime parolacce), indomabile, disinvolta e lucida, a volte sprezzante. Insomma una gran rompiballe. Nella quarta di copertina la descrivono così: «Zazie è lo spirito folletto che non si fa zittire, l’”elemento di disturbo” da cui non ci si ripara».
Perciò questo mio blog si chiama Forse Zazie. Perché mi piaceva immaginarmi così: curiosa fino allo sfinimento, a volte un po’ petulante, con le antenne sempre accese, lo spirito folletto che non si fa zittire. Lo sono stata, vorrei continuare a esserlo. Forse ci riuscirò.